TRIB. ROMA, SEZ. XVI CIVILE, 10 GENNAIO 2019
MASSIMA N.1
I circoli sportivi devono essere qualificati in termini di associazioni non riconosciute, per cui, in ordine all’impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea e degli altri organi sociali, trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 23 c.c., con il solo limite – trattandosi di associazioni non riconosciute – della non obbligatoria partecipazione del Pubblico Ministero. In particolare, la disciplina impugnatoria racchiusa nell’art. 23 c.c. deve ritenersi applicabile non soltanto alle deliberazioni dell’assemblea dell’associazione – come sembrerebbe evincersi dal dato testuale –, ma anche a quelle di tutti gli organi (monocratici o collegiali) dell’ente che incidano nella materia dei diritti soggettivi degli associati; e ciò al fine di evitare che l’associato che lamenti una lesione ai propri diritti soggettivi rimanga privo di tutela per il solo fatto che l’atto che si assume lesivo promani da un organo diverso dall’assemblea.
MASSIMA N. 2
Il rimedio cautelare disciplinato dal III comma dell’art. 23 c.c. è una di quelle ipotesi normative (tra le quali si annovera altresì la disciplina dettata dall’art. 2378, III comma, c.c. in tema di sospensione delle deliberazioni assembleari di società per azioni, applicabile – in forza del rinvio contenuto nell’art. 2479-ter c.c., anche alle deliberazioni dell’assemblea delle società a responsabilità limitata) che prevedono l’adozione di provvedimenti tipici, aventi natura sostanzialmente cautelare, nel corso del processo di merito relativo al diritto oggetto dell’invocata cautela. Il provvedimento adottabile dal giudice ai sensi dell’art. 23, III comma, c.c. è, dunque, un provvedimento avente natura cautelare funzionale a conseguire anticipatamente parte degli effetti dell’azione di annullamento disciplinati dal I comma della medesima disposizione, così da evitare che il tempo necessario a pervenire alla decisione, con autorità di giudicato, in ordine all’impugnazione proposta possa vanificare gli effetti pratici cui l’azione è preordinata.
MASSIMA N. 3
Nonostante l’art. 23, III comma, c.c. parli esclusivamente di “gravi motivi”, non vi è incompatibilità assoluta tra detto presupposto e quelli del fumus boni iuris e del periculum in mora, la cui sussistenza legittima l’adozione di provvedimenti cautelari. Pertanto, dovendo il giudice di merito verificare la sussistenza dei gravi motivi, egli, per poter legittimamente adottare un provvedimento di sospensione della delibera adottata, dovrà delibare, da un lato, la verosimile fondatezza della domanda dell’impugnante, e, dall’altro, la gravità delle conseguenze, per l’associato impugnante e per l’associazione, derivanti dall’esecuzione e dal successivo annullamento della deliberazione.
MASSIMA N. 4
Ai fini dell’adozione di un provvedimento di sospensione della delibera irrogante una sanzione disciplinare, impugnata a norma dell’art. 23, III comma, c.c., il giudice è chiamato ad apprezzare la gravità dei motivi posti a fondamento della deliberazione stessa, tenendo conto del modo in cui gli associati abbiano inteso detta gravità nell’ambito della loro autonomia associativa. Pertanto, ove l’atto costitutivo o lo statuto dell’associazione contenga formule generali ed elastiche, destinate ad essere riempite volta per volta di contenuto in relazione al singolo caso, si dovrà valutare se la condotta contestata all’associato sia stata così grave da provocare l’applicazione della sanzione disciplinare, dovendo al riguardo il giudice compiere una valutazione di proporzionalità tra le conseguenze del comportamento imputato all’associato e la misura applicata. In tali giudizi il tribunale deve verificare non soltanto il rispetto della procedura prevista dalle disposizioni interne all’associazione, ma anche la sussistenza degli inadempimenti o degli illeciti imputati dall’ente all’associato posti alla base della misura sanzionatoria. Pertanto, l’apprezzamento della sussistenza dei motivi posti a fondamento della deliberazione sanzionatoria non è rimesso all’esclusiva discrezionalità degli organi dell’ente, competendo, infatti, al giudice di merito, adito in sede di impugnazione della delibera, riscontrare l’effettiva sussistenza delle ragioni che avevano giustificato la sanzione, la loro riconducibilità a quelle previste dalla legge o dallo statuto, nonché la congruità della motivazione adottata a sostegno della ritenuta gravità.