Tribunale di Roma, sez. III civile, del 28.06.2011
SENTENZA
Nella causa civile di primo grado iscritta al n…. del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2009, posta in deliberazione all’udienza collegiale del 25.05.2011 e vertente
TRA
Fallimento della ……………. in persona del curatore avv. Mario Guido, elettivamente domiciliato in Roma, via Po 24, presso lo studio dell’avv. Nunzia Esposito, che lo rappresenta e difende per procura in atti
– attore –
E
Sig. ……. rappresentato dall’avv. ………. ed elettivamente domiciliato in Roma, via …….. presso lo studio del predetto
– convenuto –
OGGETTO: azione del curatore ai sensi dell’art. 146 l.f.
Conclusioni dell’attore: come da istanza di fissazione di udienza
Conclusioni del convenuto: come da comparsa di costituzione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato il 2.2.09 il Fallimento P. srl in liquidazione conveniva in giudizio
L.P. (amministratore dal 26.01.87 al 16.6.99); Presidente del Cda dal 16.6.99 al 26.2.03 ed amministratore unico dal 7.1.2003 alla data della messa in liquidazione, 14.3.05), chiedendo la condanna al risarcimento dei danni arrecati al patrimonio sociale ed ai creditori sociali, da liquidarsi nel complessivo importo di euro ….. ovvero al diverso importo maggiore o minore ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione sino al di là del soddisfatto;
Esponeva l’attore che la società, titolare di negozi di profumerie siti nella provincia di S., unità locali tutte cessate prima del trasferimento della sede sociale a Roma, avvenuto in data 7.10.04, era stata dichiarata fallita in data 8.3.06; che dall’esame della contabilità della società e della consulenza contabile espletata su disposizione degli organi della procedura era emerso, nel periodo compreso tra il 1997 ed 2004, il compimento da parte dell’amministratore unico di una serie di operazioni commerciali e di gestione integranti una diretta fonte di danno per la società.
La curatela deduceva in particolare:
-a) che in data 18.12.97 L.P. aveva stipulato con la ditta P.P. di cui egli stesso era titolare un contratto di affitto per la durata di anni sei e per un canone annuo di euro 18.592,00, canone pagato per cassa dalla società per tutta la durata del contratto, con un esborso fino al 2004 di complessivi euro 111.555,00 senza che la società poi fallita traesse alcuna utilità economica dall’operazione;
-b) che nel bilancio 2000 risultava annotata una operazione di acquisizione di altra profumeria che aveva comportato un incremento della esposizione finanziaria di euro 55.777,35;
-c) che nel bilancio 2000 risultavano contabilizzate spese personali del L.P. per euro 441,05;
-d) che dall’analisi contabile dell’esercizio 2001 risultava una distrazione di somme per euro 77.468,53, essendo in bilancio iscritto tra i ricavi un importo superiore a quello indicato tra i ricavi nel libro giornale;
-e) che dal bilancio 2003 risultava un azzeramento delle merci di magazzino per euro 355.000,00 non supportato da corrispondenti incrementi dei ricavi delle vendite, pertanto la vendita sottocosto del magazzino aveva generato un danno forfettariamente determinato in euro 146.250,00;
-f) che in data 14.4.03 il …… aveva affittato il ramo d’azienda della società alla dipendente …… titolare di omonima ditta individuale ad un canone non congruo di euro 6.000,00 annui, del cui effettivo pagamento non vi era prova, ed inoltre la ditta …non aveva proceduto al pagamento dell`affitto delle mura che pure competeva alla affittuaria, canone pagato dalla ….. s.r.l. per euro 3.100,00 per le mensilità da aprile a settembre 2003;
-g) che in data 26.5.03 era stato venduto ai suoceri del L.P. al prezzo di euro 20.833,33 l’unico immobile di proprietà della fallita, del valore di euro 68.400,00;
-h) che in data 7.10.04 era stata trasferita la sede legale della società al solo scopo di ritardare la dichiarazione di fallimento;
-i) che nell’anno 2004 veniva effettuata la vendita di cespiti aziendali a valori interiori rispetto a quelli contabili e risultava donato una automezzo del valore di euro 7.747,00;
-l) che risultavano numerose condotte omissive (con riferimento alla mancata approvazione del bilancio intermedio di liquidazione 2005 e del bilancio dell’esercizio 2005 ed in relazione alla mancata adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482 ter c.p.c. già al 3.12.03 mentre la messa in liquidazione della società aveva luogo solo nel marzo 2005 ) ed altresì la non corretta tenuta della contabilità;
-m) che risultavano una serie di omessi versamenti fiscali e previdenziali con conseguente notevole, aggravamento del dissesto.
Sulla base di tali allegazioni la curatela proponeva la domanda di cui sopra.
Si costituivano il L.P. con comparsa di risposta, con la quale contestava gli assunti della curatela (si rinvia qui ex art. 16 co. 5 d.lgs5/03 agli elementi di fatto di cui alla comparsa di risposta depositata in atti ), eccepiva la prescrizione, chiedeva il rigetto delle domande ed in subordine, che fosse contenuta la condanna al risarcimento del danno nella misura effettivamente provata.
Con memoria ex art. 12 d.lgs 5/03 il fallimento replicava assegnando termine per replica 30 giorni. Il convenuto notificava memoria ex art.12 d.lgs 5/03, il relatore ammetteva CTU, il Collegio con ordinanza, emessa all’esito della udienza di discussione del 12.10.10, disponeva CTU e delegava il relatore per l’affidamento dell’incarico al CTU nominato.
Esaurita l’istruzione, all’udienza collegiale del 25.5.11 la causa era trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L’eccezione di prescrizione è stata sollevata dal convenuto in quanto sarebbe provata la sussistenza della insufficienza patrimoniale della società a far data dal 2003.
L’esame della fondatezza della eccezione richiede di effettuare alcune premesse circa la natura dell’azione esercitata dalla curatela.
L’azione di responsabilità contro gli amministratori, esercitata dal curatore del fallimento ex art. 146 l.f. compendia in sé le azioni di cui agli art. 2393 e 2394 c.c. ed è volta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, costituente al tempo stesso garanzia dei soci e dei creditori sociali: avendo dunque l’azione carattere unitario ed inscindibile, il curatore ha il vantaggio di poter impostare la domanda di risarcimento contro gli amministratori in funzione di profili di opportunità , avvalendosi a seconda dei casi, della disciplina applicabile alla responsabilità contrattuale di cui all’art. 2393 c.c., o di quella applicabile alla responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell’art. 2394 c.c. (cfr. tra le tante Cass. n. 10488/1998 riferita alle norme previgenti rispetto alla riforma introdotta dal d.lgs 6/03 ma i cui principi sono tutt’ora applicabili, atteso che le stesse sono rimaste in buona parte immutate).
V’è inoltre da precisare, che la vicenda in esame ricade sotto il vigore della normativa societaria anteriore alle modiche apportatevi dal d.lgs 6/03, interessando per lo più fatti temporalmente collocati prima del gennaio 2004.
Per quel che qui interessa, avuto riguardo alla eccezione in esame, precisato peraltro che anche successivamente all’entrata in vigore del d.lgs 6/03 i dati normativi relativi alla decorrenza della prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) sono rimasti invariati, può farsi riferimento alla giurisprudenza formatasi prima della riforma.
In via generale va ricordato che il regime della prescrizione è quello più favorevole al curatore, tenuto conto, quanto alla durata del termine, che la prescrizione è quella quinquennale di cui all’art. 2949 c.c. onde l’attore potrà valersi, caso per caso, del regime della sospensione di cui all’art. 2941 n.7, c.c. (proprio dell’azione di cui all’art. 2393 prev. c.c. ) – ovvero, se applicabile ratione temporis, del nuovo co.3 dell’art. 2393 c.c., che individua il dies a quo del termine quinquennale dalla data della cessazione dalla carica – o della decorrenza dal’ulteriore elemento di proponibilità dell’azione di cui all’art. 2393, 2° comma c.c., norma rimasta come detto invariata anche quanto alla disciplina della prescrizione.
Con specifico riferimento a quest’ultima azione, cui fa riferimento l’eccezione sollevata dal convenuto, stante il suo carattere autonomo e non surrogatorio rispetto a quella ex art. 2393 prev. c.c., il termine di prescrizione decorre (in applicazione del criterio generale posto all’art. 2935 c.c.) dal momento in cui il dato di fatto dell’insufficienza del patrimonio sociale sua divenuto oggettivamente conoscibile ( Cass. n. 10488/1998): non, dunque dal compimento della violazione o dalla cessazione dalla carica, ma dal momento in cui, per effetto di essa, risulti che il patrimonio sociale non sia sufficiente al soddisfacimento del crediti sociali. L’onere di fornire la prova del momento dell’insorgenza dell’insufficienza patrimoniale della società incombe su chi eccepisce la prescrizione (cfr. Cass. 28.8.1998, n. 5287 e le più recenti. Cass.2008/20476 e Cass. 2009/9619); in mancanza, deve ritenersi che l’insufficienza si sia verificata al momento della dichiarazione dello stato di insolvenza (App. Milano 21.1.1994, Soc., 1994, 923; Trib. Milano13.10.88, Dir. Fall., 1989, II, 442e trib. Roma 5.12.86, Fall., 1987, 854).
Ora tenuti presenti tali principi, nel caso di specie, a prescindere dalla esistenza o meno dalla prova di una insufficienza patrimoniale della P. s.r.l. risalente al 2003 (va comunque ricordato in proposito che la Suprema Corte ritiene necessaria la prova della manifestazione dello stato di incapacità patrimoniale e della sua conoscibilità da parte dei terzi e che idonee allo scopo sono le risultanze del bilancio depositato, ma chiarisce opportunamente che la eccedenza della passività sulle attività o la perdita del capitale sociale non implica di per sé uno stato di insufficienza patrimoniale – cfr. Cass.2009/9616), risulta assorbente il rilievo che la natura mista dell’azione esercitata dal curatore gli consente di valersi dal regime di prescrizione più favorevole, ossia il termine quinquennale di cui all’art. 2949 c.c., decorrente dalla data in cui L.P. ha cessato di essere amministratore della fallita (14.3.05) valendo ratione temporis il regime della sospensione di cui all’art. 2941 n.7, c.c. (proprio dell’azione di cui all’art. 2393 c.c.).
Si impone dunque il rigetto della eccezione di prescrizione.
2. La domanda risarcitoria deve essere vagliata nel merito.
Si deve in via generale osservare che, con riferimento all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. (con l’odierno 2394 bis c.c. il legislatore ha poi trasposto in un articolo ad hoc all’interno del codice civile le previsioni di cui all’art. 146 co. 2 l.f.), la sostituzione del curatore alla società fallita è una manifestazione specifica del generale effetto, ai sensi dell’art. 2394 prev. c.c., la sostituzione della legittimazione del curatore a quella degli originali titolari non si ricollega alla struttura del processo fallimentare, ma è frutto di una scelta del legislatore volta ad assicurare maggior livello di tutela alla curatela (Cass. n. 10488/1998).
L’azione prevista dall’art. 2393 c.c. è volta ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati alla società dagli amministratori a causa dell’inadempimento dei doveri specifici loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, nonché con l’inadempimento dell’obbligo generale di agire nell’espletamento dell’incarico con la diligenza tipica della funzione svolta (art. 1176, 1710, 2392 c.c.): la natura contrattuale di tale azione comporta, quanto al riparo dell’onere della prova, che chi la promuove deve solo dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, mentre gli amministratori dovranno dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, per ognuno dei singoli addebiti contestati, dell’adempimento degli obblighi e dell’osservanza dei doveri loro imposti (Cass. n. 2772/1999).
Con l’azione ex art. 2394 c.c. si fa, invece, valere una responsabilità di natura extracontrattuale, che sorge qualora il comportamento degli amministratori cagioni una diminuzione del patrimonio sociale, tale da renderlo idoneo per difetto ad assolvere la funzione di garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. (Cass. n. 10488/1998); in tal caso, l’ordinamento riconosce ai creditori sociali il diritto di ottenere dagli amministratori, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che, per loro colpa, la società non è più in grado di adempiere. Ha comunque ribadito la Suprema Corte ( Cass. 1998/10488, cit.), come già detto, che le due azioni, intervenuto il fallimento, confluiscano in una unica azione avente carattere unitario e inscindibile con il corollario che la domanda risarcitoria contro gli amministratori può essere formulata così con riferimento ai presupposti della responsabilità verso la società come sulla base dei presupposti della responsabilità verso i creditori sociali. Tale possibilità si risolve in un risultato pratico di evidente vantaggio per il curatore, il quale potrà impostare la domanda in funzione dei profili di opportunità per avvalersi a seconda dei casi della disciplina applicabile alla responsabilità contrattuale o di quelle applicabile alla responsabilità extracontrattuale.
Quanto al danno è bene precisare sin da subito che non è idoneo a soddisfare l’esigenza di specifica allegazione e prova dello stesso e del nesso causale tra questo e le singole condotte illecite, la mera indicazione del danno in termini di deficit fallimentare, ossia la differenza tra ammontare del passivo e attivo acquisito alla massa fallimentare. La giurisprudenza ammette infatti il ricorso solo in via eccezionale a tale criterio quando non sia facilmente determinabile il danno per omessa o irregolare tenuta della contabilità (si veda tra le tante Trib.Milano 15.7.91 in Il Fall.1991,231).
Nel caso di specie il fallimento ha indubbiamente chiamato a rispondere l’amministratore non solo dei danni cagionati ai creditori sociali per inosservanza degli obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, ma anche dei danni cagionati alla società per inosservanza dei doveri ad esso imposti dalla legge e dall’atto costitutivo.
Venendo quindi all’esame delle singole fattispecie contestate dalla curatela e poste a base della domanda risarcitoria, tenuti presenti i principi testé ricordati anche in punto di onere di allegazione e prova del danno, va rilevato quanto segue.
La prima censura, dinanzi richiamata sub a), concerne la stipula il 18.12.97 del contratto di affitto di azienda con la ….. di ….., contratto di affitto che avrebbe determinato, secondo l’assunto del CT della procedura (vedi relaz. dott. ….. doc.5 fasc.attore), solo l’esborso dei canoni fino al 2004 senza che venisse tratta alcuna utilità per la società, sicché la curatela assume che da tale operazione sia derivato un danno al patrimonio sociale pari all’ammontare dei canoni corrisposti, vale a dire euro 111.555,00.
Occorre precisare che la relazione del CT della procedura costituisce prova atipica da cui il giudice può trarre argomenti di prova o addirittura fondare su di essa il proprio convincimento (si veda ad esempio in tema di perizia stragiudiziale anche se contestata da controparte Cass.99/5544 e Cass.92/2574), perché tali risultanze probatorie siano sottoposte ad un rigoroso vaglio critico.
Orbene le considerazioni del consulente …., su cui si fondano le conclusioni del fallimento, paiono in verità apodittiche e sommarie, essendosi limitato costui a rilevare come non vi fosse nella nota integrativa al bilancio annuale né negli atti di gestione della società alcuna informazione inerente l’operazione da cui desumere l’utilità della operazione.
Tuttavia non si sollevano specifiche censure al contratto in questione, sicché in difetto di più puntuali allegazioni si deve ritenere infondato l’addebito di responsabilità.
Peraltro va ricordato che nell’azione di responsabilità promossa dal curatore nei confronti degli amministratori, la mala gestio va valutata secondo il criterio della diligenza dovuta dal mandatario anche indipendentemente dalla violazione di specifiche disposizioni di legge o di singole clausole statuarie, sicché non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali, anche se presentino profili di alea economica superiori alla norma, ma resta invece valutabile la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente se necessario con adeguata istruttoria i margini di rischio connessi alla operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite altrimenti prevenibili ( Cass.12.8.09 n.18231 ).
In considerazione di tale principio deve parimenti ritenersi infondata la doglianza sub b) concernente la acquisizione di un’altra profumeria che avrebbe comportato un incremento della esposizione finanziaria della società di euro 55.777,35: la curatela infatti si è limitata ad effettuare una valutazione ex post della dannosità dell’investimento, senza tuttavia fornire alcun elemento idoneo ad affermare la condotta negligente dell’amministratore secondo i parametri téste richiamati.
Risulta invece fondato, sulla base della ricostruzione fornita dal CT della procedura che ha proceduto all’analisi della contabilità della fallita e dei bilanci, l’addebito riguardante la contabilizzazione di spese personali del …. per euro 441,05 per l’anno 2000 (pagamento della rata Unico e condono INPS – vedi relazione del CT a pag. 26 doc. 5 cit.).
La pretesa distrazione di somme per euro 77.468,53, che il CT della procedura ipotizza in base alla differenza tra l’importo indicato alla voce ricavi delle vendite nel bilancio trascritto sul libro inventario (euro 470.793,60) rispetto ai ricavi registrati nel libro del giornale (euro 393.367,99), non è sorretta da adeguato riscontro probatorio, risultando in verità poco plausibile che si sia proceduto ad una distrazione di somme ricorrendo all’artificio della maggiore esposizione di ricavi in bilancio rispetto alle risultanze delle scritture contabili, semmai la distrazione di somme poteva essere dissimulata con un operazione esattamente inversa.
L’addebito relativo all’azzeramento del magazzino ha trovato definitiva conferma nell’accertamento tecnico disposto dal Collegio. Il CTU dott. ……. nel proprio elaborato, immune dai vizi logici e congruamente motivato, all’esito dell’analisi dei bilanci e della contabilità della fallita, ha rilevato che l’azienda ha proceduto nell’anno 2003 con un regime di acquisti delle merci superiore a quello dell’esercizio precedente, pure avendo registrato una flessione dei ricavi dal 2001 al 2002 ed un incremento delle rimanenze di magazzino. Gli acquisti dell’anno 2003 per euro 146.250,00 considerate le vendite sottocosto effettuate nel 2003 con uno sconto del 51,39 % rispetto al costo di acquisto del 70% rispetto alla percentuale di ricarico medio degli anni precedenti, hanno determinato una perdita economica pari a 257.613,00.
Ora indubbiamente sotto il profilo del danno, risultando censurabile la condotta dell’amministratore in quanto pur in presenza di una situazione di contrazione dei ricavi anziché procedere alla dismissione della merce presente in magazzino ha operato con un regime di acquisti superiore a quello degli anni precedenti, si può imputare quale conseguenza della condotta imprudente di cui sopra il costo delle merci acquistate nell’anno 2003 e dunque pari ad euro 146.250,00, come richiesto in citazione dalla curatela.
Quanto alla censura dinanzi illustrata sub f), concernente l’affitto del ramo d’azienda alla …., si rileva che in difetto della prova di non congruità del canone di affitto (la curatela neppure ha allegato quale sarebbe stato il canone reputato congruo), si apprezza un danno riconducibile a tale contratto solo con riferimento al mancato pagamento dei canoni, pagamento di cui non vi è prova in contabilità, risultando i canoni pagati per cassa, ed al canone relativo alla locazione dell’immobile ove era esercitata l’azienda, assolto dalla ……, sebbene dovesse gravare sulla affittuaria, per euro , (vedi et Dott ….. ).
Fondato è pure l’addebito concernente la cessione dell’immobile della società: il cespite risulta venduto ad un prezzo di molto inferiore a quello di mercato, come attestato dalla perizia di stima eseguita dalla procedura (doc. 15 ) che attribuisce all’immobile, venduto in data 26.5.03 ai suoceri del ….. al prezzo di euro 25.000,00 ( iva compresa ), un valore di mercato di euro 68.400,00. Sono inoltre oltremodo generiche le risultanze della fattura prodotta dal convenuto (doc. 6, peraltro priva di data certa, come rilevato dalla curatela) per dimostrare la imputabilità del maggior valore ad opere di ristrutturazione eseguite sul bene dopo la vendita (la stessa reca la seguente causale “lavori di ristrutturazione ed intervento su impianto idrico ed elettrico”). Può dunque sul punto essere accolta la domanda del fallimento che quantifica il danno al patrimonio sociale in misura pari ad euro 43.400,00.
Quanto alle ulteriori censure la curatela non ha allegato uno specifico danno o comunque non ha fatto richiesta di specifica voce di danno, il che esime il Collegio dell’esame della fondatezza dei relativi addebiti.
Si ricorda peraltro, in ordine alle censure rivolte all’amministratore, riguardanti la mancata convocazione dell’assemblea dei soci dopo la diminuzione capitale sociale per perdite, ai fini dell’adozione dei provvedimenti conseguenti che il danno conseguente alla prosecuzione delle attività di impresa nonostante la perdita del capitale va individuato nel risultato negativo delle nuove operazioni che siano adottate instaurando rapporti giuridici svincolati dalle necessità della liquidazione (cfr. Cass. 23.6.08 n.17033). Ma nel caso di specie difetta la allegazione delle nuove operazioni e dunque vi è più del danno derivante.
3. Il danno va dunque complessivamente determinato in euro 199.191,05.
Trattandosi di debiti di valore, sulle somme dinanzi indicate va calcolata la rivalutazione della data di verifica di ciascun danno ad oggi (occorrerà fare riferimento alle date di scadenza dei canoni di locazione non riscossi, alla data dei pagamenti non dovuti, alla data di stipula del contratto di vendita dell’immobile ed alla data di cessione del magazzino), e con ulteriore aggiunta dalle medesime decorrenze ad oggi, quale lucro cessante, degli interessi compensativi per la ritardata reintegrazione patrimoniale al tasso del 2% (determinato in via equitativa anche in considerazione delle oscillazioni del tasso legale) computati sulla somma originaria via via rivalutata in base ad un indice medio di rivalutazione (Cass. n. 1712/1995; n.1792/1997; n.2796/2000)
4.Le spese seguono la soccombenza e di liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il tribunale, definendo il giudizio, ogni altra domanda, istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:
1) condanna …….. al risarcimento del danno in favore del Fallimento …… srl in liquidazione, danno liquidato complessivamente nella misura di € 199,191.05, oltre alla rivoluzione e agli interessi come specificato in parte motiva;
2) condanna il convenuto a rifondere alla curatela attrice le spese di lite che liquida in euro 312,00 per spese, euro 3.000,00 per diritti ed euro 9.000,00 per onorari oltre spese di CTU come già liquidate in corso di giudizio.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, il 14.6.2011.